| Queste riflessioni sulla funzione della musica nella società, scritte nell'esilio svizzero alla fine del 1835 e apparse l'anno seguente su "L'Italiano" di Parigi, si inseriscono nel programma mazziniano di riorganizzazione globale della cultura italiana. La musica (e in particolare il melodramma) è concepita da Mazzini come strumento di emancipazione e di crescita politico-culturale del popolo tutto. Di qui il suo rifiuto dell'"arte per l'arte" e della musica come consumo passivo di sensazioni fini a se stesse e, invece, la visione di un'opera che coinvolga il pubblico dei teatri e il popolo che ne resta fuori; la condanna del "belcantismo" e la scoperta dei canti popolari; la critica delle esercitazioni accademiche e degli esibizionismi personali e la valutazione del coro quale voce delle masse sfruttate. Una posizione, quella di Mazzini, che si stacca nettamente dal panorama delle teoriche italiane del primo Ottocento. Per consentire un confronto si sono riportate nella seconda parte del volume scritti di Andrea Majer, Marco Santucci, Lorenzo Neri, Abramo Basemi e Giovanni Battista Rinuccini, apparsi fra il 1818 e il 1843. > Vedi anche l'edizione in fomato pdf sola lettura |