Libri da donare
Il fenomeno - Parte da Rimini un appello rivolto a tutti gli editori italiani: regalate alle scuole i vostri testi invenduti
L’idea è partita da Rimini, dalla casa editrice Guardaldi, ma ha fatto in fretta il giro d’Italia. «Perché noi editori - ha detto qualche giorno fa l’imprenditore romagnolo - non regaliamo alle scuole o ad altri soggetti idonei, le scorte di libri che giacciono invendute nei nostri magazzini?». Qualcuno ha aderito, qualcuno no, c’è chi, come l’editore leccese Manni aveva già pensato per proprio conto alla stessa cosa destinando appena qualche settimana fa 7mila libri alle scuole salentine. Se la moda del bookcrossing, nata in Giappone e trasferita in Occidente, sembra avuto vita breve (lasciare individualmente i libri letti sulle panchine perché altri possano trovarli e leggerli), questa della donazione degli editori potrebbe avere fortuna anche se non è completamente nuova. Da una parte, anche per motivi fiscali, gli editori potrebbero avere una convenienza nell’alleggerire i propri depositi (regalando i testi e non, come di consueto, mandandoli al macero), dall’altra, almeno in alcuni casi, si potrebbero mettere in circolazione libri di qualità, magari classici della letteratura, e proprio nelle scuole, luoghi deputati alla formazione di nuovi lettori. Un’opera benemerita, insomma, che piace anche agli editori salentini, come conferma Agnese Manni che dice. «Queste, sono trovate costruttive certo, a patto che si tratti di operazioni sincere». « Bisogna vedere, quindi - le fa eco Cosimo Lupo, titolare dell’omonima casa editrice specializzata in letteratura infantile - perché a volte alcune iniziative sono legate esclusivamente all’autopromozione e non ad un interesse reale per la crescita culturale della collettività. A volte, si regalano solo libri vecchi e brutti».
Tuttavia, piuttosto che bruciarli, è sempre bene donarli. È d’accordo pure Giovanni Invitto, preside della Facoltà di Scienze della formazione dell’università del Salento e attento osservatore culturale che insiste sulla necessità di educare i ragazzi all’utilizzo dei testi: «Bisognerebbe insegnare loro come consultarli, come inventariali, come farli diventare dei veri e propri compagni di vita». In un’Italia, dati Istat alla mano, in cui ogni giorno saltano fuori 120 titoli nuovi - di autori emergenti e non - e dove se ciascuno di questi viene moltiplicato per mille copie, viene fuori una somma su 120mila libri al giorno, si ha buon motivo di credere che molti resteranno invenduti. Inoltre, considerando che gli italiani non sono certo degli habitués della lettura, le deduzioni potrebbero essere ancora più fosche. Ma allora, perché pubblicarli? «Dietro questo fenomeno - dice un esperto del mercato come l’editore Mario Congedo - ci sono sempre interessi economici... e a farne le spese, nel vero senso della parola, il più delle volte è lo stesso scrittore». Congedo, nel settore da circa quarant’anni, ha scelto strategicamente di pubblicare prevalentemente titoli di saggistica che sono un po’ come i classici che, per Umberto Eco, «non finiscono mai di dire quello che hanno da dire». Un esempio? “Il Vocabolario dei dialetti salentini” di Rohlfs. «Qualora qualcuno decidesse anche di aggiornarlo - sostiene Congedo - dovrà partire comunque da lì. Questo per dire che, investire su sedicenti scrittori di romanzi o sulla poesia, ad un editore non conviene. Possibile che in Puglia ci siano cinquecento grandi poeti? Non ci credo, molti non li leggerà nessuno, non si leggono nemmeno tra di loro perché tutti pensano di essere dei novelli Dante Alighieri». Ma intanto si continua a produrre. Sarà anche una vena romantica quella che induce gli editori salentini a ostinarsi sul “cartaceo”, mentre in America, i ragazzi a scuola usano già da un pezzo, aggeggi elettronici super avanzati che possono contenere due-trecento testi scolastici? Che anche l’operazione Guaraldi sia una specie di primo addio alla carta mentre si avvicina l’era degli e-books, del Kindle (una specie di iPod per gli e-books), e delle Lavagne interattive multimediali (Lim)? Davvero si restringono gli spazi per la circolazione del “libro di carta”? L’epoca del libro tradizionale è, dunque, vicina alla conclusione? Francesco Carofiglio, scrittore barese che presto sarà a Lecce per presentare il suo “Ritorno nella valle degli angeli”, è convinto che «la tecnologia non soppianterà il vecchio libro ma, se utilizzata in maniera intelligente, potrà contribuire in maniera ancora più decisa alla sua diffusione. I libri, in fondo, sono delle presenze vive con il dono dell’immortalità».
Quanto alla possibilità di donare i libri, tutto va bene. I libri devono “camminare” in un modo o nell’altro e passare di mano in mano, anchese usati, è una cosa che può fare solo bene.
Regalare un libro, dunque, non deve passar di moda. Dice ancora Invitto che il primo che gli fu donato da un giovane sacerdote, don Ugo De Blasi (per il quale è oggi in corso una causa di beatificazione): «“Piccoli santi” si intitolava, e portava una dedica che recitava più o meno così: “A Giovanni perché diventi uno di loro”. Credo di averlo deluso, oggi faccio la collezione di santini ma non penso che sia la stessa cosa».
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