Quell'orrendo regalo di Natale
Fra pochi giorni Rimini sarà protagonista della più banale notte televisiva dell’anno. Non è questo il “regalo” che la nostra città avrebbe meritato di trovare sotto l’albero; non è questo l’accoglimento di quello spirito di sobrietà che abbiamo sentito proclamare la notte di Natale. In tempi in cui tutto – inclusa la Festa riminese di Capodanno – sembra insegnare esattamente il contrario (lo sperpero, il desiderio di apparire, l’egoismo, l’ingiustizia), fa male al cuore pensare a tanto denaro pubblico letteralmente gettato in una notte. E la richiesta di un obolo per la Papa Giovanni rischia di apparire come l’istigazione al Gratta e Vinci per pagare le aperture straordinarie ai Musei.
La nostra città non merita di essere infangata da polemiche inutili: ma ciò che la infanga realmente è la rabbrividente (è proprio il caso di dirlo!) apologia dei più logori luoghi comuni del divertimentificio balneare affidata a naufraghi dell’intrattenimento televisivo e a qualche cantante o ballerina con la pelle d’oca, cui bisognava pur garantire una minestra calda.
Indipendentemente dall’effimero “successo di pubblico” che la Festa potrà vantare il primo gennaio, quando il suo baraccone da circo in Piazzale Fellini verrà smontato, non potremo non pensare alla differenza con il Concerto di Natale ad Assisi. Il Tempio Malatestiano non è certamente da meno della Basilica di San Francesco! Ma il confronto fra Pino Insegno e Leon Battista Alberti , Roberto Valturio e i Malatesti, o fra Mara Venier e la Beata Chiara (sic) è ovviamente impari: chi diavolo sono costoro? Nomi sconosciuti alla maggior parte dei nostri ragazzi proprio per l’asfissia di quell’“incultura” televisiva che abbiamo regalato loro e di cui siamo totalmente responsabili. Rimini ha un disperato bisogno di cultura, sta soffocando per mancanza di ossigeno culturale!
Ma quello che fa più male è pensare che la Festa avrebbe potuto essere giocata all’insegna di Federico Fellini, il cui nome è stato – quello sì – davvero infangato dalle miserrime vicende che fino a ieri hanno accompagnato la Fondazione a lui intestata. Evidentemente, la dirigenza politica riminese non è stata capace di pensare che una Festa di Capodanno dedicata al grande regista riminese potesse contemporaneamente ripianare il “buco” finanziario della Fondazione (su cui tutti si sono farisaicamente stracciate le vesti, senza vedere il confronto con i costi della Festa…); rilanciarla a livello nazionale (anche economicamente, con un appello televisivo alle grandi aziende, come suggerito dal neo Presidente Celli); e soprattutto qualificare davvero l’immagine di Rimini (da ribattezzare – perchè no – “Fellinia” secondo la geniale proposta di Sebastiano Vassalli!) e dell’intera riviera romagnola. Può essere almeno una proposta per l’anno 3012*? Il problema è non perdere la speranza.
Mario Guaraldi
* 3012: La città di Fellinia
La maggiore industria italiana – come tutti sanno – è l’industria delle vacanze e dei divertimenti e la capitale di quell’industria è la città in cui nacque Antalo, la favolosa Fellinia: così chiamata in onore di uno dei più grandi autori di cinema dell’Evo antico, Federico Fellini. All’epoca della nostra storia, Fellinia contava forse due milioni di abitanti, o pochi di più; si estendeva – e tuttora si estende – sulla costa del mare Adriatico per una ventina di miglia e inglobava, come quartieri autonomi e contigui, città antichissime: Rimini, Cesenatico, Riccione, Cervia, Bellaria, Cattolica. I suoi sobborghi erano, a nord, la città-museo di Ravenna, e, a sud, il popoloso e pittoresco quartiere di Pesaro. Fellinia era, ed è tuttora, una metropoli del divertimento, soprattutto estivo, per molti aspetti unica al mondo. Chi non si è trovato almeno una volta e almeno in sogno in una delle cattedrali felliniane del piacere, dove tutto è permesso e tutto è disponibile: il Grand Hotel, il Casino, il Transatlantico Rex, il Luna Park? Chi non ha desiderato di poter pranzare in uno di quei famosi ristoranti, dove i maestri della cucina italiana preparano ogni singolo piatto come un orafo preparerebbe un gioiello: il Rigatoni, il Goloso, il Gran Babà, il Pecorino, la Scarpetta e tantissimi altri, forse meno famosi ma non meno degni di essere conosciuti e frequentati? Chi, infine, da giovane non ha desiderato di trascorrere un’intera estate in questa Mecca dell’umana felicità, che ha saputo pianificare e personalizzare il divertimento di massa fino a dare l’illusione, a ogni singolo visitatore, che tutto esista e sia stato fatto solamente per lui? Detto questo, però, è necessario aggiungere che la Fellinia dei tempi di Antalo era una città un po’ meno allegra della Fellinia di oggi. Era la capitale mondiale dei centrivita: che nell’Evo antico costituivano la sua maggiore attrazione e che si servivano degli schermi tridimensionali e dei “programmi” elaborati da un cervello elettronico per far vivere ai clienti le avventure che loro desideravano, e che la realtà non gli avrebbe mai dato. Nei centrivita di Fellinia c’erano programmi di ogni tipo e di ogni durata. Le avventure più richieste, come dappertutto, erano quelle erotiche di pochi giorni; ma erano molto ricercati anche i programmi in cui il protagonista diventava ricco, oppure diventava potente, o compiva imprese memorabili, o viveva, come artista, una stagione straordinariamente creativa. C’era perfino chi si rivolgeva ai centrivita per cercarvi situazioni che avrebbero dovuto essere normali o addirittura banali, e che nell’epoca della pace non lo erano affatto: una serata tranquilla con i propri familiari, una domenica con gli amici, un incontro piacevole con uno sconosciuto (o con una sconosciuta). La maggior parte dei programmi dei centrivita erano accelerati, cioè facevano vivere in poco tempo una storia completa; ma c’erano anche, e anzi erano sempre più richiesti, i programmi cosiddetti in tempo reale, che duravano mesi ed anni e potevano prolungarsi nel tempo, quanto la vita stessa del protagonista. Il sogno segreto di moltissimi abitanti del pianeta, nell’età della pace, era quello di arrivare ad avere abbastanza quattrini per tirarsi fuori dall’inferno della competitività e dell’aggressività e per rifugiarsi in un programma controllato da un calcolatore elettronico, a godere un’esistenza di meritati successi, di affetti e di crescenti soddisfazioni, finché fosse venuto il momento di togliere il disturbo e di andarsene, con i conforti garantiti dall’elaboratore. Meglio una vita illusoria ma piacevole – ragionavano in tanti – che una vita autentica e sgradevole; e si riducevano a vegetare come automi nei cronicari dei centrivita, programmati da un’intelligenza artificiale che in cambio del loro denaro gli elargiva una felicità durevole e sicura, per quanto possano essere sicure le cose degli uomini. Questo, dunque, era il mondo che si preparava a celebrare, nel 3010 dell’èra cosiddetta cristiana, i suoi primi cinquecento anni di pace, e che però non era mai stato così pericoloso e difficile per chi doveva viverci, nemmeno nelle epoche più lontane a cui la memoria potesse rivolgersi per cercare un confronto.
(Sebastiano Vassalli, 3012, Einaudi, Torino 1995, cap. 6, pp. 23 e sgg.)
Estratto da Federico Fellini La mia Rimini