L'egemonia della sinistra
All'inizio degli anni settanta Marisa Bonazzi aveva organizzato a Reggio Emilia una mostra critica dedicata ai libri di testo in uso nelle elementari dell'epoca. La mostra esponeva, dovutamente ingrandite, le pagine dei libri, e poi le commentava. Nel 1972, per le edizioni Guaraldi, Marisa Bonazzi e io avevamo pubblicato un libro, intitolato I pàmpini bugiardi, in cui il commento ai testi incriminati era quasi del tutto ridotto a titoletti ironici, e a brevi introduzioni ai vari settori (i poveri, il lavoro, la patria, le razze, l'educazione civica, la storia, la scienza, il danaro ecc.). Il resto parlava da sé. Ne veniva fuori l'immagine di una editoria scolastica che non si limitava a ripetere i cliché dei libri di lettura e dei sussidiari fascisti, ma era ancora più indietro, legata a stereotipi arcaici, datati almeno quanto il Vittoriano e il dannunzianesimo degli stenterelli.
Cito solo due esempi, e le sottolineature sono mie. Uno era un ritratto di Nazario Sauro, in cui è evidente lo schema dei busti mussoliniani: "In un corpo robusto pieno di sangue vivido e pronto, in quella testa è possente e grossa, in quegli occhi risolutissimi si è trasfuso un poco dello spirito immortale che aleggia sui campi, sui monti, sui mari d'Italia, e la fa bella e forte diversamente dalle altre patrie". Il secondo era un capitolo sul 2 giugno, dedicato a spiegare come la festa della Repubblica si risolvesse in una parata militare: "È un fiume di ferro, di uniformi, di armi e soldati allineati in ordine perfetto... Passano i giganteschi carri armati, i mezzi cingolati per il trasporto delle truppe anche attraverso la nube di una esplosione atomica, i grandi cannoni, gli agili e scattanti reparti d'assalto..."
Evidentemente dei testi che spiegavano a bambini innocenti che i nostri cingolati scorrazzano felici attraverso le liete nubi di un'esplosione atomica erano dei testi mendaci. Quel nostro libretto ha avuto una certa fortuna e, per la sua piccola parte, insieme con altri interventi critici (citavo in prefazione un numero della rivista Rendiconti), ha contribuito a uno svecchiamento dei testi scolastici. Nessuna autorità è intervenuta, nessuna commissione di censura è stata costituita. Come avviene nelle cose della cultura, una libera critica ha stimolato ripensamenti e nuove iniziative. Io credo che così si debba fare in un paese civile. Non intendo pronunciarmi sui libri che hanno scatenato la critica di Storace, anche perché non li conosco. Sono pronto ad ammettere che contengano passi contestabili, e in un paese libero le opinioni contestabili, appunto, si contestano, ferma rimanendo la distinzione fondamentale tra contestazione e censura. Se c'è scandalo, scoppia da solo. Naturalmente chi critica deve avere l'autorità morale e culturale per rendere la sua critica efficace: ma sono decorazioni che si acquisiscono sul campo.
Non dico nulla che non sia stato già detto se ricordo che un testo scolastico, per difettoso che sia, interagisce con l'autorità dell'insegnante, e con notizie che i ragazzi ricevono (specialmente oggi) da tanti altri canali. Al liceo si aveva come testo di filosofia il serio ma illeggibile Lamanna, di ispirazione idealista. Giacomo Marino, il mio professore di filosofia, era cattolico (e fu un grande maestro, che ci spiegava persino chi fosse Freud, invitandoci a leggere, per capirlo, L’anima che opera guarigioni di Stefan Zweig). Non amava il Lamanna, e ci dava la sua versione della storia della filosofia. Anche se poi ho fatto il filosofo di professione, molte delle cose filosofiche che so sono ancora quelle che mi ha insegnato lui.
A questo professore ho chiesto un giorno quale buona rivista culturale avrei potuto leggere, oltre alla Fiera letteraria (che tra l'altro era allora in mani cattoliche, ma parlava di tutto). Mi ha consigliato un'altra seria rivista cattolica, Humanitas. E questo mi riconduce al problema dell'egemonia culturale della sinistra.
Oggi un ragazzo che, come per lo più avviene, sa poco dell'Italia che lo ha preceduto, a leggere i giornali e ad ascoltare i discorsi politici (se lo fa) si convince che dal 1946 a Tangentopoli l'Italia è stata governata dalle sinistre, le quali, avendo le leve del comando, hanno instaurato una loro egemonia culturale, i cui effetti nefasti si avvertono ancora adesso. Debbo rivelare a quei giovani che in quel periodo il nostro paese è stato governato dalla Democrazia Cristiana, che controllava saldamente il ministero della pubblica istruzione, che esistevano fiorenti case editrici cattoliche (come la Morcelliana, SEI, Studium, l'Ave, e persino una casa editrice della Democrazia Cristiana, Cinque Lune), che la Rizzoli era allora d'ispirazione conservatrice, che non erano di sinistra Mondadori, Bompiani, Garzanti e via dicendo, che l'editoria scolastica di Le Monnier, Principato, Vallardi non era governata da membri del partito comunista, che non erano marxisti i grandi settimanali come La Domenica del Corriere, Epoca, Oggi, Tempo, non lo erano certamente i grandi quotidiani salvo l'Unità (comperata solo da chi votava comunista) e che, alla fin fine (non considerando le edizioni del Partito Comunista, come l'Universale del Canguro, che circolavano solo alle feste dell'Unità), l'unica casa di sinistra era l'Einaudi - la quale peraltro nel '48 ha pubblicato il primo libro sul materialismo dialettico sovietico, ma scritto da un gesuita. Feltrinelli viene dopo, e si afferma pubblicando II Gattopardo e il Dottor Zivago, che non sembrano esempi sfavillanti di egemonia marxista.
Quella che oggi viene sbrigativamente chiamata cultura di sinistra era in verità cultura laica, liberale, azionista, persino crociana. L'università era governata da due grandi gruppi che si spartivano i concorsi, i cattolici e i laici, e tra i laici ci stavano tutti, anche i pochi studiosi marxisti di allora.
Come si è stabilita una egemonia della cultura laica, perché gradatamente egemonia c'è stata? Perché la Democrazia Cristiana al potere non l'ha contrastata e non è riuscita a opporre il fascino di Diego Fabbri a quello di Bertolt Brecht?
Non basta affermare, come qualcuno ha fatto in questi giorni, che il partito di governo ha esercitato un'ampia e serena tolleranza. È vero in parte, ma negli anni cinquanta ricordo che alla Rai lavorava gente a cui si rifiutava il contratto definitivo con la spiegazione esplicita che era comunista, e si potrebbero riaprire le cronache dell'epoca per ritrovare polemiche, manifestazioni d'intolleranza, chiusure oggi inaccettabili. Però sarebbe lecito dire chi il partito di potere ha preso una decisione: lasciate a noi il controllo dell'economia, degli enti pubblici, del sottogoverno, e noi non ficcheremo il naso più di tanto nell'attività culturale.
Ma anche questo spiega poco. Perché, visto che la scuola non l'imponeva e anzi l'ignorava, un giovane doveva andare a leggere Gramsci piuttosto che Maritain (o almeno, perché i giovani cattolici dell'epoca leggevano Maritain, ma anche Gramsci e Gobetti)? Perché quando la rivista dei giovani democristiani di fronda, Terza generazione, ha tentato la saldatura Gramsci-Gioberti, la proposta non ha avuto successo e il povero Gioberti è rimasto negli scaffali delle biblioteche (e dire che sciocco non era)? Perché i giovani cattolici di allora, cresciuti sul personalismo di Mounier e sugli scritti di Chenu o Congar, leggevano affascinati anche II Mondo di Pannunzio?
E che lo spirito soffia dove vuole. La filosofia cattolica degli anni cinquanta e sessanta si divideva, tranne pochissime eccezioni come gli esistenzialisti cristiani, tra neotomisti e spiritualisti di origine gentiliana, e di lì non si muoveva, mentre la filosofia laica metteva in circolazione non tanto Marx (come se tutti all'epoca si buttassero sui Grundrisse, andiamo!), ma il neopositivismo logico, l'esistenzialismo, Heidegger, Sartre o Jaspers, la fenomenologia, Wittgenstein, Dewey, e questi testi li leggevano anche i cattolici. So di fare delle generalizzazioni molto rozze perché chi fossero molti campioni del pensiero laico l'ho appreso da maestri cattolici come Pareyson e Guzzo, e non solo da Abbagnano (che era laico, ma certamente non marxista, e neppure di sinistra), e testi fondamentali del pensiero laico sono stati pubblicati anche in collane dirette da studiosi di ispirazione cattolica (si pensi alle edizioni Armando). Ma voglio dire che questa cultura laica (che si espandeva ormai anche in opposizione all'idealismo crociano, e dunque non si trattava di una lotta tra cristiani e marxisti, molti dei quali ancora crocianissimi) ha certamente stabilito una egemonia e ha sedotto insegnanti e studenti. E quando egemonie del genere si stabiliscono, non si distruggono a suon di decreti.
Quello che si può rimproverare alla Democrazia Cristiana è di avere avuto scarsa fiducia nella circolazione delle idee, di avere pensato che contava di più controllare il telegiornale che non le rivistine d'avanguardia - così che, dopo più di venticinque anni di egemonia politica e di controllo della televisione, si è ritrovata tra le mani la generazione del '68. Ma si potrebbe dire che ha adottato una tecnica della pazienza: "siediti sulla riva del fiume e aspetta che passi il cadavere del tuo nemico, nel giro di due decenni la metà di questi rivoluzionari finirà o a Comunione e Liberazione o la Berlusconi". E così è stato.
Si potrà dire che la cultura di sinistra è diventata egemonica grazie a una politica di martellanti ricatti ideologici (se non la pensi come noi sei un sorpassato, che vergogna occuparsi d'arte senza pensare al rapporto tra base economica e sovrastruttura!). È vero. Il Partito Comunista, a differenza della Democrazia Cristiana, ha investito moltissimo nella battaglia culturale. Ma che al ricatto martellante si potesse benissimo resistere lo dicono le belle e liberali polemiche di Norberto Bobbio, e quando si leggeva Rinascita o II Contemporaneo, con le loro diatribe sul realismo socialista, e le loro condanne persino del Metello di Pratolini e di Senso di Visconti, se ne rimaneva certo appassionati ma nessuno, tranne i comunisti iscritti (e forse neppure loro), prendeva sul serio quei diktat - e tutte le persone colte ritenevano che Zdanov fosse una testa di legno.
Oltre tutto, se la mia ricostruzione è giusta, la famosa egemonia delle sinistre si è lentamente instaurata proprio nel periodo storico in cui, dall'Ungheria alla Cecoslovacchia, lo stalinismo, il realismo socialista, il Diamat entravano in crisi, anche nella coscienza dei militanti socialcomunisti. E quindi non si trattava di egemonia marxista, o non soltanto, ma in gran parte di egemonia di un pensiero critico.
E per quale complotto chi è stato influenzato da questo pensiero critico (laico o cattolico che fosse) si è inserito a poco a poco nelle case editrici, alla Rai, nei giornali? Basta a giustificare questa egemonia la politica del consociativismo, con cui la Democrazia Cristiana ha cercato, e con successo, di compromettere l'opposizione con responsabilità di sottogoverno? O l'opportunismo di alcuni intellettuali che si sono buttati a sinistra quando pareva che nel sottogoverno consociativo si creassero occasioni favorevoli, così come ora si buttano a destra per le stesse ragioni? Non credo.
È che nella seconda metà del secolo quella cultura critica è stata più sensibile allo spirito del tempo e ha giocato alcune carte vincenti e ha costituito (dal basso e non dal vertice, e per movimento spontaneo, non per alleanze tra partiti che andavano dai comunisti ai repubblicani, dai liberali ai socialisti e ai cattolici progressisti) dei quadri preparati.
Capisco che Storace sia irritato da autori di libri di storia che non la pensano come lui. Mi chiedo solo perché non ritenga di avere in mano strumenti di controllo culturale (e quadri autorevoli) che gli permettano di stabilire l'egemonia del "suo" pensiero. E dire che ormai, se non ve ne siete ancora accorti, l'egemonia culturale sta dalla sua parte. I classici della destra godono del sostegno delle pagine culturali, la storia contemporanea viene rivista a ogni passo, a guardare i cataloghi delle case editrici si vedono per ogni dove non dico i massimi autori del pensiero conservatore, ma persino caterve di libri ispirati a quell'occultismo reazionario a cui i padri spirituali di Storace si sono ispirati.
Se l'egemonia culturale si valutasse a peso, avrei l'impressione che la cultura dominante sia oggi mistica, tradizionalista, neospiritualista, new age, revisionista. Mi pare che la televisione di stato dedichi molto più spazio al Papa che a Giordano Bruno, a Fatima che a Marzabotto, a Padre Pio che a Rosa Luxemburg. Nei mass-media circolano ormai più templari che partigiani.
Come accade che, con case editrici, quotidiani, pagine culturali, settimanali di destra, Storace si trovi ancora tra i piedi tanti nemici? Possibile che, liquidata dalla Storia l'ortodossia marxista, gli ultimi marxisti si siano arroccati nelle scuole medie? Li ha assunti tutti Berlinguer, nei mesi in cui ha avuto tra le mani quella pubblica istruzione che è stata saldamente tenuta dai democristiani per cinquantanni?
Perché Berlusconi (che ha fatto sue le preoccupazioni di Storace), col potere mediatico che ha, soggiace al fascino dell'egemonia della sinistra e pubblica ogni anno, in pregiate edizioni a suo nome, il Manifesto del Partito Comunista e testi proto-comunisti come la Città del Sole di Campanella e La nuova Altantide di Bacone? Per fare bella figura nei confronti di una cultura laica che, nonostante tutto, stima? Perché non pubblica i suoi "pàmpini bugiardi"? Li leggeremmo tutti, cercando di trarne stimoli critici. Perché è attraverso i libri che si stabilisce una egemonia culturale.