| Nei testi narrativi di alcuni autori tra Ottocento e Novecento, in consonanza con le concezioni diffuse nell’area scientificofilosofica, la figura femminile è soltanto in apparenza inscritta nella tipologia vulgata della femme fatale, la quale serve piuttosto da schermo a connotazioni più profonde e articolate, in cui positivo e negativo si intersecano in due ruoli opposti e complementari: quello di tramite indispensabile all’aspirazione dell’uomo di attingere il trascendente e quello di limite inesorabile ad una compiuta realizzazione di questa stessa aspirazione. Nei testi narrativi di alcuni autori tra Ottocento e Novecento, in consonanza con le concezioni diffuse nell’area scientificofilosofica, la figura femminile è soltanto in apparenza inscritta nella tipologia vulgata della femme fatale, la quale serve piuttosto da schermo a connotazioni più profonde e articolate, in cui positivo e negativo si intersecano in due ruoli opposti e complementari: quello di tramite indispensabile all’aspirazione dell’uomo di attingere il trascendente e quello di limite inesorabile ad una compiuta realizzazione di questa stessa aspirazione. La donna, dunque, come una compagna-nemica, amata e odiata, corteggiata e ripudiata, inferiore e superiore al tempo stesso, che appare comunque vittima predestinata, che deve sempre morire perché l’uomo realizzi la sua tensione al superamento dei limiti e acquieti la sua nostalgia dell’assoluto. A un secolo di distanza e in tutt’altro contesto, si assiste con crescente sgomento al dilagare di ‘femminicidi’ ed è forse lecito chiedersi se non sia, ancora una volta, un reale senso di impotenza e frustrazione a indurre il maschio a distruggere il corpo femminile, come fonte ineludibile di una dipendenza totale. |