| Quando andrò in Afghanistan per raccontare la ritirata, l’ennesima, dell’Occidente, porterò con me questo libro di Farhad Bitani. Perché raramente ho sentito, in un libro che parla di molte cose, l’odore della guerra: fumo, sudore pane stantio e immondizie. È l’odore delle cose che non sono più e non sono ancora morte. La vita non l’ha ancora afferrata questo giovane afgano: ella ha per lui un’aria di inafferrabilità. Ma in questo libro è già stata ridotta in minimi termini. C’è tutto, anche se in linee sottilissime. Racconta cose terribili e piccoli gesti della vita quotidiana che, in quello spazio, hanno un significato arcano e difficile. Guarda dentro con infinita pazienza. Racconta di qualcuno che è stato ucciso. Le parole non esprimono emozione: è un fatto. Si nasce, si combatte, gli amici muoiono, i nemici muoiono, si muore noi stessi. Domenico Quirico |