| La psicoanalisi sembra oggi attraversare una crisi d’identità. Nato entro il rispettabile recinto delle scienze medico-biologiche, lo psicoanalista è giunto a coniare per sé la qualifica, in fondo non meno lusinghiera, di “maestro ermeneuta”: rinarra la storia del paziente con interventi sul testo per accostarsi ad una verità che è più affine alla realtà costruita nel mito. E si è giunti anche a legittimare la “finzione”, per quanto rivolta al passato. (...) La comunicazione terapeutica è tale se fa propria quella forza coinvolgente ed espressiva che è il contrassegno dell’arte. Si impone allora per i terapeuti, più che accademici corsi di formazione, una “pedagogia dell’immaginazione” frequentando le “botteghe di coloro che con l’arte si guadagnano da vivere”. Per giungere ad una spontaneità che non sia automatica riproposizione di sciatte banalità […] c’è un lungo percorso che non ammette scorciatoie, ma che può essere facilitato se incrocia i tragitti creativi altrui, cioè se può avvalersi dei vividi sogni dell’arte. L’arte ha una funzione riparatrice non nel senso del pietoso velo, ma perché promuove la dimensione estetico-contemplativa in chi ne diventa fruitore. Da ciò può trarre beneficio, per sé non meno che per gli altri, proprio chi svolge la funzione di terapeuta cui spetta il compito di dare voce e significato al discorso spesso povero e confuso della persona che soffre. |