| Tutto comincia con la guerra, con il racconto della guerra. Dal dolore da cui, tuttavia, ovunque, riluce la vita, perché «Non c’è morte che non sia anche nascita./Soltanto per questo pregherò» (Mario Luzi). La letteratura inizia con le corazze istoriate di lampi sotto le mura di Troia e con uno che anela a vincere la morte. Semina massacri, costringe alla pietà. Come può allora Cleide setacciare una storia arcinota, quella della Seconda Guerra, canonizzata in romanzi plastici e in epopee cinematografiche spumeggianti? Dettando una confessione. Nella Valigetta blu – che è un po’ la camera delle meraviglie di una bimba che si ostina a incitare al sogno pur nel massacro – scompaiono eroi ed eroismi, trombe retoriche o blasfemi artifici neorealisti. C’è una donna che tende l’orecchio al lettore come fosse una stanza, e lì versa la confessione della propria infanzia. Con tatto spudorato e lieto. E ora, come capita in tutte le storie, sta a noi ripetere la confessione, o celarla. Finché la ricorderemo, lei, l’autrice, colpevole di non aver omesso uno iota dalla vita, sarà viva e le sue memorie esisteranno, autenticate. Davide Brullo |