| Se senti parlare di zattere calcaree che navigano su di un mare di argilla e che impennano la loro prua verso levante, non sono visioni di un pazzo, ma descrizione della geomorfologia della Valmarecchia. Se la vecchia nonna dice alla nipote in dolce attesa di recarsi alla Madonna di Saiano e di sedersi nel trono di pietra della Madonna, di guardare verso il fiume e di dire un’Ave Maria, perché così avrà una buona gravidanza, non è solo superstizione, ma il forte intreccio fra tradizioni, fede e cultura nella Valmarecchia. Se a poca distanza dalle cabine della rinnovata spiaggia di San Giuliano vedi planare un airone cinerino, non è l’allucinazione di un patito naturalista in vacanza a Rimini, ma è un frequente incontro alla foce del Marecchia. Se fra Viserba ed Igea, in mare, a poca distanza dalla riva, ci sono polle di acqua dolce e nella piana attorno alla Gaiofana si estrae ottima acqua, non è un caso ma potrebbero essere indizi che il fiume avesse una ampia foce a delta, paludosa e simile ad un piccolo mare (Marecula), dove i primi insediamenti non potevano che dipendere dal fiume (in etrusco Armne, da cui Ariminus e Rimini). Se qualcuno vi racconta dei baccanali conclusisi con una sfida a satana, che per tutta risposta scatena terremoto e fulmini e distrugge mezza rupe e mezzo castello, se sentite parlare del fantasma di Azzurrina o del conte Cagliostro, non sono favole o sciocchezze, ma riferimenti precisi al Maioletto, a Montebello e a San Leo, tre delle tante perle della Valmarecchia. Se qualcuno vi parla di questa valle così o in tantissimi altri modi, non è un fanatico tifoso, ma una persona che in questi luoghi guarda per scoprire, sente per ascoltare, assaggia per gustare, tocca per percepire, fiuta per odorare, ma tutto questo lo fa col cuore per scoprire l’invisibile, della Valmarecchia, che ama e a cui dedica tempo. Arrigo Albini |